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«La prière de Nesrine», di Aurélia Zahedi. © Aurélia Zahedi, ADAGP, Paris, 2023

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«La prière de Nesrine», di Aurélia Zahedi. © Aurélia Zahedi, ADAGP, Paris, 2023

Aurélia Zahedi all’Institut des Cultures d’Islam

Le opere realizzate negli ultimi cinque anni dall’artista che raccoglie le lacrime dei beduini

Luana De Micco

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La rosa di Gerico è una pianta millenaria che cresce nei terreni desertici del Medioriente. Si presenta come un bulbo modesto, chiuso a riccio, i cui rami secchi rimangono rasenti il terreno, ma che rivive e si schiude con le piogge. La pianta della risurrezione, come spesso viene chiamata, è avvolta dalle leggende, tanto che le vengono anche attribuite qualità guaritrici. L’artista francese Aurélia Zahedi (Lione, 1989) si interessa dal 2016 a questa pianta mitica di cui si dice che sia immortale, magica, nomade e alleata delle donne. Zahedi è partita alla sua ricerca nel deserto della Cisgiordania, ad est di Gerusalemme, nel villaggio di Nabi Moussa, vicino a Gerico, dove si trova la presunta tomba di Mosè, su terre che da anni due popoli si contendono e che ancora oggi sono in guerra.

Attraverso di essa si sofferma sul destino dei beduini, una popolazione la cui esistenza resta sospesa tra guerre e distruzioni. È così che nasce la mostra «La rosa di Gerico», presentata dal 20 gennaio al 30 giugno all’Institut des Cultures d’Islam (Ici), centro culturale d’arte contemporanea del quartiere multietnico della Goutte d’Or, a Parigi, aperto alla cultura dell’Islam e al dialogo multiculturale. L’artista mescola disegni, fotografie, pitture, installazioni e performance, opere create nel corso degli ultimi cinque anni, di cui alcune recenti e presentate ora per la prima volta. Aurélia Zahedi ha studiato arte ad Avignone e a poi alla Villa Arson di Nizza. Per il suo progetto, nel 2021, ha ottenuto la borsa Fanak Fund «per la mobilità degli artisti in Medio Oriente».
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«Navigando tra terra e cielo, tra il sole soffocante del giorno e le stelle guardiane della notte, l’esposizione richiama ciò che lega la pianta al suo territorio e ai suoi paesaggi, spiega Clelia Coussonnet, curatrice della mostra. Ci ricorda la forza dell’immaginario in contesti vincolati, l’esilio interno, in cui le credenze, l’oralità e la memoria oscillano tra l’apparire e lo svanire. La Rosa è un testimone, i suoi occhi dicono ciò che i beduini non possono più evocare di questa terra che sfugge loro». Del 2018 è una serie di disegni intitolata «Risveglio della rosa di Gerico», presentata simbolicamente nelle docce dell’hammam dell’Ici. Il progetto è ancora in corso. Sono opere sfuggenti che mostrano la forza vitale di questa pianta resistente, in cui l’artista sostituisce l’inchiostro di china alle gocce d’acqua.

Zahedi ha realizzato ritratti poetici dei beduini incontrati durante i suoi viaggi, realizzati a inchiostro su carta trasportata su tela con la tecnica millenaria del marouflage. Il volto di uno di loro, Saqer, incontrato nel 2018, si confonde e si fonde con il deserto «ricordando la progressiva scomparsa di questa popolazione respinta dal suo territorio». Del 2023 è una scultura in vetro soffiato intitolata «Vaso lacrimatoio», in cui sono raccolte simbolicamente le lacrime dei beduini, come i recipienti che per gli antichi romani raccoglievano le lacrime dei cari del defunto. Un film del 2023 porta il visitatore per 23 minuti nel tempo sospeso del deserto, nel suo paesaggio rude e nella vita quotidiana delle popolazioni nomadi. Tra realtà e finzione, si evoca qui il tema dell’esilio.

Sono esposte poi tre opere del 2023 che costituiscono un’unica serie, dal titolo «La preghiera di Nesrine». Si tratta di tre dipinti su carta e foglia d’oro, ispirate alla tecnica delle miniature persiane della dinastia Safavide (1501-1736). Su ognuna si legge un poema che ricorda il ripetersi incessante delle preghiere di Nesrine, una donna beduina che tutte le sere prega per la redenzione dai peccati.

Luana De Micco, 19 gennaio 2024 | © Riproduzione riservata

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